martedì 16 aprile 2024

L'importanza di salvaguardare una cultura

Moroto 20 luglio 2007

L'importanza di salvaguardare una cultura
Le giornate qui in Karamoja si susseguono con un ritmo incalzante. Sono piene, ricche, intense. Giunge la sera che ci trova un po provati. Fisicamente ed emotivamente. Il programma prevede ogni giorno visite a luoghi carichi di intensità e incontri con persone interessanti. Nella maggior parte dei casi gente qui da decenni. Alcuni fin dalla metà del secolo scorso. Persone che non hanno girato le spalle alle condizioni di estrema difficoltà nelle quali da sempre versa questo popolo. E che hanno lavorato per migliorarle, per dar loro un barlume di speranza. Conseguentemente, purtroppo, sono venute mutando alcune caratteristiche di una società karimojong legata a sistemi propri di un popolo pastore. Culture occidentali e non si sono insinuate tra le pieghe di questa comunità.
Regolata da logiche tribali, certo, ma risultato di un processo comunque evolutivo, secondo propri costumi. Un mondo va lentamente, e forse non troppo, scomparendo. A favore di un altro molto diverso, che lascia poco spazio a valori importanti, fondamentali. Quelli di una tradizione, di una cultura che ha formato un popolo, conferendogli una precisa fisionomia, una propria identità.

Ecco il punto, il rischio che si corre. L’assistenza, l’aiuto, interventi che consentano loro di uscire fuori dalla fame, dalla sete, dall’estrema povertà, questo è dovuto. Ma con la consapevolezza di salvaguardare il più possibile la grande ricchezza che ogni popolo possiede. Che è la sua Storia, le sue Tradizioni, la sua Cultura. Né migliore, né peggiore di quella di altri paesi, di altri sistemi sociali. Semplicemente diversa. Che va riconosciuta. Che va rispettata. Sono stati introdotti criteri, negli ultimi tempi, completamente sconosciuti alla società karimojong.
Ad esempio la politica di scambi basati sulla monetizzazione del bestiame e dei prodotti agricoli. Si crea in tal modo una società notevolmente modificata da quella originaria, che comportava un tessuto di solidarietà creata dall’azione di mutuo soccorso che così bene amalgamava la società karimojong.
Un sistema che certamente prevede anche violenza e barbarie, uccisioni e sacrifici umani, ma che non tocca senz’altro a noi e a nessun altro mondo cosiddetto civile giudicare, né tantomeno modificare.
I cambiamenti, le evoluzioni di un popolo debbono avvenire in funzione di un tempo, di una crescita, di uno sviluppo. Conforme alle proprie usanze, alle proprie tradizioni. Cosicché potrà avvenire nella forma e nei metodi più naturali, più consoni. Senza alcuna forzatura. E’ certo che la presenza degli europei e degli occidentali in genere in questi luoghi ha, nella maggior parte dei casi, finalità di bene, di aiuto, di sostegno. Tuttavia è sempre importante saper riconoscere quei valori, quella ricchezza che ogni popolo, che ogni società ha come patrimonio. Fatto di storia, di tradizioni, di cultura, di costume.

Fatta questa considerazione, uscita da un incontro di gruppo, il programma di oggi ci porta in visita a Kangole prima e a Matani poi. Da Moroto è ben visibile, in lontananza, una piccola montagna perfettamente conica che si erge, spezzando la linea di una pianura a tratti infinita. E’ Morunigà, la montagna di Kangole. Qui ha sede un istituto scolastico che offre istruzione ad oltre novecento ragazze. Sono sette anni, da una formazione elementare ad una specializzazione.
L’istituto opera in regime “bording”, vale a dire lo stile college inglese, ospitando al suo interno per la durata dell’intero anno scolastico, tutte le ragazze che frequentano le classi dalla quinta alla settima. E sono circa quattrocento. Offre loro vitto e alloggio in una struttura dignitosa, curata e ben tenuta anche dalle stesse ragazze che contribuiscono ai lavori quotidiani. Sono le suore alla conduzione di questa scuola che appare proprio ben gestita.
Ed è suor Angelina che ci conduce in visita, che ci fa da guida. Cartelli posizionati all’interno dell’edificio, ma anche all’aperto, riportano scritte che inneggiano ai valori di una sana società, quali l’educazione, il rigore, il rispetto, la pulizia, la disciplina, l’istruzione… L’ordine e la cura di questo luogo balzano subito agli occhi. Coltivazioni di frutta e verdura, ma anche piante e fiori, tra cui bellissime bouganvillae rosa e lilla.
L’istituto, costruito da missionari comboniani, è servito da due pozzi d’acqua ed è fornito anche da sistema di pannelli solari. La visita si conclude con un buon tamarindo, una pianta qui diffusa, che ci offre suor Angelina.
La tappa successiva è Matani, dove opera uno dei quattro ospedali del Karamoja. Altri sono a Kotido (a nord della regione), a Nakapiripirit (a sud), ed uno qui a Moroto. Quello di Matany è senz`altro il più efficiente e lo visitiamo accompagnati da Padre Damiano, che ci mostra anche la bella chiesa.
E’ però Marilena, una dottoressa di Monza che presta servizio qui due mesi ogni anno. Il reparto maternità, medicina, ortopedia e poi il grande cortile esterno dove alcune cucine economiche sono a disposizione dei parenti dei pazienti che hanno il compito di preparare loro da mangiare.
Padre Damiano
ci offre il pranzo. Una volta terminato ci intratteniamo piacevolmente per discorrere e trarre alcune considerazioni. Si discute di questa gente, dei loro bisogni, delle loro esigenze. Tra le quali la salvaguardia della loro cultura, delle loro tradizioni. Della loro storia. La storia del popolo karimojong.

©Roberto Roby Rossi

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