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23 maggio del 1992 – la Strage di Capaci

Giovanni Falcone nel racconto di un papà al suo figliuolo di nome Giovanni

23 maggio del 1992 – la Strage di Capaci
23 maggio del 1992 – la Strage di Capaci
storia di uno dei più grandi uomini italiani, Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia 24 anni fa, nel racconto di un papà al suo figliuolo di nome Giovanni.
Scritto da Luigi Garlando

Premessa
Il narratore è Giovanni, un bimbo di 10 anni che racconta una giornata speciale con il padre, durante la quale il genitore gli racconterà la storia di un illustre palermitano Giovanni Falcone, della sua vita e della sua morte.


Capitolo 1
Giovanni, nella sua stanza, sta studiando la lezione di storia che riguarda Garibaldi e rimane colpito dal suo “Obbedisco” quando il re gli ordina di abbandonare la marcia verso nord attraverso la penisola. In quel momento entra suo padre, che per mestiere si occupa di aprire negozi di giocattoli, e si mette a chiacchierare con lui, gli domanda cos’è successo al suo compagno Simone, che si è rotto un braccio cadendo forse in modo non accidentale e, sfogliando l’album di figurine del figlio, commenta distrattamente che non è possibile che non l’abbia ancora finito, visto che spende in figurine tutta la sua paghetta; Giovanni risponde che ha molta sfortuna, ma svia il discorso. Il motivo vero della visita del padre, però, è un invito, per il giorno seguente, ad una “gita”, solo per loro due, per raccontare al figlio la storia di Bum, il gorilla di peluche dai piedi bruciacchiati che Giovanni tanto adora.

Capitolo 2
La mattina seguente Giovanni e suo padre fanno colazione ed escono per le vie di Palermo. L’uomo guida fino alla via Castrofilippo e gli mostra il luogo dove nacque Falcone. Gli dice che nacque con i pugni chiusi e senza piangere e che una colomba entrò nella stanza dove stava il bimbo, come a dire che lui avrebbe dovuto lottare (ecco perchè i i pugni) per la pace (ecco perchè la colomba). Racconta al figlio che la mamma di Giovanni era una donna severa che lo educò al senso del dovere e della giustizia, raccontandogli le gesta dei suoi parenti deceduti in guerra; poi lo porta a vedere al scuola di Falcone e gli racconta delle zuffe che faceva per difendere i compagni più piccoli dai soprusi.

Capitolo 3
Giovanni e il papà vanno poi al mare e il padre racconta della scelta di Falcone di iscriversi all’Accademia di Livorno e del suo pentimento; gli mostra le tristi lettere dei genitori che sentivano la sua mancanza; gli racconta della scelta definitiva per gli studi di Legge e dei suoi primi casi, del suo sequestro, nel carcere di Favignana, da parte di un carcerato che lo tenne in ostaggio per diverse ore. Già nei suoi primi casi Falcone incontra il nemico che dovrà combattere: morti per lupara, morti sul lavoro…..ma intanto si sposa con Rita, l’amore della sua vita.

Capitolo 4
Dopo un bagno in spiaggia il padre spiega a Giovanni l’origine della parola “mafia”, parola che compare nel 1868 con il significato di “miseria” e “prepotente” e, attraverso un parallelo con la vita scolastica del figlio, cerca di chiarirgli cos’è il “pizzo” e come la legge dello Stato venga soppiantata da quella della Mafia: è come se un bullo obbligasse i compagni a cedergli i soldi con la minaccia e lo facesse così a lungo che alla fine la sua richiesta sembra una cosa normale e quasi giusta perché “è sempre stato così”. Falcone incontra la mafia che, a volte, ha anche l‘appoggio di qualche poliziotto o sindaco, ad un processo in cui non riesce a far condannare il mandante di alcuni omicidi per mancanza di prove e ne resta molto amareggiato.

Capitolo 5
Con in mano un carciofo, le cui foglie si chiamano cosche, il padre spiega al figlio come sono organizzate le famiglie mafiose e come si svolge la cerimonia di iniziazione di un nuovo mafioso. Elenca anche il vocabolario della mafia che si definisce “la Cosa”, da Cosa Nostra a capo, picciotto e cupola. In quest’occasione l’uomo mostra la foto di un ragazzino a cavallo e racconta a Giovanni la morte di Giuseppe [Di Matteo], bambino di 11 anni rapito, tenuto prigioniero per 2 anni per far sì che il padre non tradisse la sua cosca e poi strangolato e sciolto nell’acido. Racconta anche che i nemici della mafia vengono fatti sparire a volte in mare, con un peso attaccato ai piedi come i giocatori di subbuteo. Questi racconti provocano in Giovanni molta rabbia per tanta crudeltà e anche il bagno in un mare che ospita cadaveri gli sembra meno bello.

Capitolo 6
Il racconto continua: Giovanni Falcone a Palermo fa fatica a trovare prove perché nessuno vuole parlare, vige l’omertà, ma incontra magistrati come lui e inizia un grande lavoro. Incontra Rocco [Chinnici], un anziano magistrato che va nelle scuole per spiegare cos’è la mafia, ma viene ucciso per il suo lavoro (29 luglio 1983). Falcone indaga su Rosario [Spatola] e Michele [Greco] e sulle loro attività edilizie. Alcuni colleghi gli consigliano di non trovare niente, ma Falcone continua e, dal 1980, inizia la sua vita sotto scorta: la sua casa è un bunker, non va più al cinema, al ristorante, non può più girare da solo. La moglie Rita lo lascia. Intanto la mafia elimina il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (3 settembre 1982) e anche Rocco Chinnici. Falcone conosce un magistrato, Francesca Morvillo, e si innamora, la sposa quasi di nascosto per motivi di sicurezza.

Capitolo 7
Giovanni e il padre lasciano la spiaggia e tornano a Palermo. L’uomo racconta al figlio l’avventura del “pool antimafia”. Falcone collabora con Antonino [Caponnetto], il suo nuovo capo, e con Paolo Borsellino, Giuseppe [Di Lello], Leonardo [Guarnotta], Ignazio [De Francisci] e Giacomo [Conte]. Con Antonino le indagini prendono una svolta, arrivano le prime vittorie, collabora anche il futuro sindaco di Palermo Leoluca [Orlando] e il commissario Beppe [Montana]: dall’82 all’86 sono anni di grandi ricerche e delle prime morti. Dal Brasile Falcone chiede la collaborazione di don Masino, vecchio mafioso a cui i corleonesi hanno sterminato la famiglia e che, rientrato in Italia, rivela nomi, funzionamento e progetti di Cosa Nostra, svelando che colte attività illecite sono gestite dalla mafia. Il 29 settembre 1984, all’alba, vengono arrestate decine di mafiosi e portati nelle carceri del Nord: è la prima grande vittoria. La mafia ha paura: Ninni Cassarà [vice dirigente della squadra mobile di Palermo] viene ucciso con 200 colpi di kalashnikov il 6 agosto 1985. Falcone e Borsellino vanno a vivere per un po’ con le loro famiglie all’Asinara, nel carcere, per motivi di sicurezza, e da lì continuano le indagini. La mafia però vorrebbe “sgambettarlo”, farlo fuori, metterlo fuori combattimento e trama contro di lui. L’8 novembre 1985 il pool deposita 600.000 pagine di indagini chiedendo l’arresto di 474 uomini d’onore.

Capitolo 8
Nel tribunale di Palermo viene allestita un’aula bunker e, l’11 febbraio 1986 inizia il maxiprocesso. Sono presenti 210 imputati e anche molti pentiti. Giornali e TV non parlano d’altro e Cosa Nostra è sotto gli occhi di tutti, non si può più far finta che non ci sia. I mafiosi pensano di uscire come al solito per mancanza di prove o per qualche altro cavillo invece, dopo 22 mesi di processo e 36 giorni di camera di consiglio, il verdetto è di 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. A Palermo si respira aria nuova, si crede in un cambiamento e si avverte una nuova speranza. A questo racconto il piccolo Giovanni capisce la grandezza di Falcone e del suo lavoro, lo ammira per le sue rinunce e i suoi ideali.

Capitolo 9
Giovanni vorrebbe che il racconto finisse così, ma il papà gli racconta il seguito. La mafia, colpita al cuore, si acquatta, aspetta di vendicarsi e intanto comincia a mettere in giro malignità su Falcone, lo dipinge come un arrivista che si è montato la testa; si lamentano quelli che pensano che faccia cattiva pubblicità a Palermo e alla Sicilia, i disoccupati che non possono più lavorare nei cantieri dei boss e in tribunale gli impediscono di succedere ad Antonino. La mafia tenta un attentato alla villa al mare di Falcone, ma fortunatamente un agente lo sventa. Falcone decide di andare a lavorare a Roma, al Ministero di Grazia e Giustizia , per mettere a punto una super-macchina anti-mafia: vive un po’ più sereno, meno scortato, è felice, fa viaggi di lavoro in USA per collaborare con l’FBI, ma sa di essere sotto controllo di Cosa Nostra.

Capitolo 10
Il padre sale in auto e porta il figlio verso l’aeroporto di Punta Raisi. Intanto racconta degli anni romani e delle voci polemiche contro Falcone. Un giorno il magistrato riparte per Palermo, per assistere alla mattanza dei tonni a Favignana e lì scatta l’attentato; da tempo la mafia ha preparato al morte di Falcone mettendo cinque quintali di tritolo in un cunicolo sotto l’autostrada che va dall’aeroporto a Palermo, all’altezza di Capaci. Fanno le prove, per vedere quando schiacciare il radiocomando, lasciano un uomo sempre di vedetta e, il 23 maggio 1992, alle 17 e 56 le auto con Falcone, la moglie e la scorta saltano in aria. A premere il pulsante è l’uomo che ha sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe [Giovanni Brusca], il mandante è Totò Riina, il corleonese che ha decimato la famiglia di don Masino. In quel giorno, dice il padre, Palermo era in subbuglio, ma lui era felice, perché era appena nato il suo bimbo, a cui decise di dare il nome del magistrato.

Capitolo 11
Padre e figlio si rimettono in auto parlando della morte dell’amico di Falcone, Paolo, due mesi dopo, e dei funerali dei due magistrati, affollati, commossi, che svegliarono Palermo e l’Italia. L’uomo mette l’accento sull’ipocr4isia di quei giorni, quando piangevano disperati anche quelli che avevano ostacolato Falcone e Borsellino; parla della moglie di un uomo della scorta che prese la parola durante i funerali, perdonando i mafiosi ma chiedendo loro fra le lacrime di cambiare vita. Per ricordare i due magistrati venne loro intitolato l’aeroporto e la torretta davanti alla casa di Falcone, dalla quale la scorta sorvegliava il magistrato e accanto alla quale sorge un grande albero, diviene un punto simbolico in cui centinaia di persone lasciano i loro messaggi di ringraziamento, di ricordo e di speranza. Dopo questo giro il padre confessa al figlio il suo segreto più grande: anche lui un tempo dava da mangiare al mostro, pagava il pizzo come gli aveva insegnato il padre e quando, dopo la morte di Falcone, si rifiutò e denunciò alla polizia gli estortori, due picciotti gli incendiarono il negozio e minacciarono la sua famiglia.

Capitolo 12
Il giorno dopo Giovanni riporta le lettere mandate a Falcone dai suoi genitori quando era in accademia, a sua sorella, Maria Falcone, e insieme parlano di come sia importante combattere la mafia fin da bambini e non cedere ai soprusi, alle ingiustizie. Parlano di com’era il magistrato da bambino, di quanto amasse lo sport e studiasse poco. Maria poi regala a Giovanni un libro, “L’albero di Falcone”, con i pensieri lasciati negli anni sull’albero di via Notarbartolo.

Capitolo 13
Il giorno dopo Giovanni torna a scuola e trova il coraggio di rifiutarsi di dare al bullo della classe, Tonio, i suoi soldi per le figurine e ci guadagna un occhio nero. Simone, il compagno a cui Tonio ha fatto rompere il braccio facendogli uno sgambetto, difende Giovanni accusando Tonio e i due ragazzi diventano amici. Tonio viene sospeso e il giorno dopo i suoi fratelli minacciano il preside, ma giustizia è fatta. Come “regalo” a Falcone, Giovanni porta all’albero di via Notarbartolo il suo album Panini e, quando trova una figurina nuova, la va ad aggiungere; se lo finirà, riflette, sarà merito del magistrato che gli ha aperto gli occhi.

Fine

Ciao bambino Giovanni, speriamo forse, un giorno, che l'album possa terminare, che l'ultima figurina possa essere attaccata. Che la mafia, un giorno, possa non esistere più.
E un saluto è per te, magistrato Giovanni, continua da lì, dove sei, a vegliare su di noi, ad aiutarci a capire il senso delle cose...


©Roberto Roby Rossi

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©Roberto Roby Rossi Olbia - Sardegna rssrrt62m02d150b - cronaca@robyrossi.it - cell. 349.8569627 - skype - robyrossi62 - http://facebook.com/robyrobyrossi - twitter - @robyrossirob
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