Direzione Malindi
tappa a Voi e Mombasa
Questa mattina forse il cielo è con noi. Qualche raggio di sole illumina questi grandi palazzi, questa tetra città. Sono solo le 7, ma le strade sono già animate all’inverosimile. Matatu e taxi si contendono la precedenza ad ogni incrocio, migliaia di persone e biciclette e ciclomotori e carretti sfrecciano, correndo e sfiorandosi.
Tanta di questa agitata umanità arriva dagli slum, un popolo di oltre due milioni e mezzo di poverissimi. Non è difficile individuarli, vestono abiti stracciati, scarpe o ciabatte rotte o spaiate, altri sono a piedi nudi. E la maggior parte di loro trainano carretti enormi, enormemente carichi.
Scendono giù dalle loro baracche prestissimo, quando ancora l’alba deve venire, nella grigia foschia della metropoli. Le braccia strette attorno al magro corpo per proteggersi, come si può, dal freddo e dall’umidità.
Non si sentono nemmeno, non si notano quasi, ma sono milioni. Attorno a loro il silenzio. Un silenzio che urla, assordante.
Un silenzio che spacca i timpani. Scendono nel circo della città, dove la sopravvivenza è conquistata con mille acrobazie. Si piazzano ai bordi delle strade, anche oggi, come sempre. Oggi, che pare proprio voglia essere una giornata di sole. Che sorge e scalda, per aiutare un po’ anche loro, questo popolo del mondo, il prodotto più becero e vergognoso della nostra cosidetta civiltà.
Il grigio della città ora si tinge dei mille colori dei matatu, quasi fluorescenti e che sfoggiano disegni e soggetti straordinari. Alcuni di loro riportano grafiche rasta, altri corpi di belle donne, altri riprendono star della musica o del cinema, altri ancora il candidato premier americano Obama, il cui padre è di origini keniote.
Il grigio oggi è sopraffatto dalla luce di questo atteso sole. Ma il grigio si tinge oggi anche del verde di Uhuru Park, del blu del Brithish Building, del bianco candido del Palazzo del Parlamento. E anche Nairobi, così vestita, pare quasi piacevole, quasi godibile. Ma noi ce ne andiamo!
Abbiamo deciso di lasciare la capitale keniota per raggiungere un’altra capitale, quella del turismo. Sulla costa bagnata dall’Oceano Indiano sorge un luogo che gia` solo dal nome incanta: Malindi. Andremo lì, non a bordo di un comodo aereo, non in un’ora di volo. Andremo lì in bus, 12 ore di strada, attraverso Mombasa.
Potevamo scegliere la linea che portava direttamente alla meta, ma volevamo uno scorcio anche di questa grande città sul mare, capoluogo di distretto delle localià costiere. In bus, per conoscere il comfort (?) di questi mezzi, la qualità dei collegamenti stradali.
E ne abbiamo subito un assaggio.
Il mezzo è grande, stipato in ogni ordine di posto. L’aria è pesante, l’odore di conseguenza. I posti a sedere sono stretti, le braccia vanno tenute davanti al corpo, le spalle chiuse. La partenza è terrificante, i primi cento chilometri sono da incubo. E’ una diabolica giostra, dove la corsa non dura però solo qualche minuto. Saranno quasi 4 ore di continui salti e sobbalzi, lo stomaco e` messo a dura prova.
Ma non basta questa tortura.
No, perche´ la vera chicca si celava invece dentro un abito nero, troppo stirato, anche se comunque sempre molto abbondante, circa 2 taglie in piu` del dovuto, ma qui è così. Questo grande vestito era addosso ad un personaggio che poteva stare tra il commerciale senza scrupoli o il palafreniere professionista.
Si scoprirà poi essere un instancabile oratore.
Tra le mani la Bibbia o il Corano, poco importa, comunque un libercolo smunto e sgualcito. Si leva in piedi all’altezza dell’autista. Qualche secondo pare per scrutare il pubblico ignaro (perlomeno io), con uno sguardo impostato da saccente (che non gli viene bene).
Improvvisamente prende a strillare parole sguaiate, certamente inopportune in quel contesto, in uno swahili fortemente gutturale. Sono apprezzabili comunque le sue doti di equilibrista, poichè riesce a reggersi in piedi, mentre noi, da seduti, dobbiamo tenerci saldi alle poltrone per evitare di sbattere a destra e a sinistra. Termina il martirio dopo un’isterica predica di almeno un’ora.
Ma non e` finita lì! Le sorprese sono comprese nel prezzo del biglietto, anche quella che arriverà a ruota, solo dopo qualche minuto.
Abbiamo ancora da smaltire il logorroico intervento del
nero vestito, et voilà!
Si materializza al suo posto un’imbonitrice di grossa stazza, accompagnata da un borsone della stessa misura, pare blu sotto la polvere che lo ricopre. Comincia a tirare fuori da lì dentro ogni ben di dio, creme ed unguenti, pastiglie e polveri, gocce e quant’altro che assicurano rimedi estetici.
Le parole sono urlate e la voce stridula mi riporta in Italia. Pare infatti, questa signorona, uscita da un “corso” per tecniche di vendita tenuto da Wanna Marchi.
Nel frattempo, nonostante la musica assordante che accompagnava i due fracassanti interventi, molti passeggeri hanno preso sonno. Qualcuno che è rimasto sveglio compra qualcosa, qualcun altro chiede di poter avere le confezioni di alcuni prodotti, le guarda e le restituisce.
L’essenza di questa trasferta è nella seguente sintesi: un viaggio terrificante, reso ancor più terribile dall’intervento dell’uomo nero e dalla “Wanna Marchi d’Africa”.
Al limite della sopportazione umana giungiamo a Voi, centro cittadino e frequentato snodo stradale. Da qui si scende a sud per la Tanzania, proseguendo verso oriente si raggiunge Mombasa.
Ed è qui, dopo 12 ore di bus, che arriveremo. Faremo tappa per qualche minuto, tempo utile per verificare che il caos e il senso di disordine e confusione è in linea con le città di questo continente. Poi, a bordo di un matatu, raggiungeremo Malindi.
E’ tardi, sono le 21 passate
e siamo sotto un’acqua torrenziale. Siamo a destinazione.
Non c’è gente in giro, non è periodo di vacanze. Ceniamo lì, dove ci fermeremo a dormire, al Coral Key, una bella struttura che si adagia sulla fine e bianchissima spiaggia dell’Oceano Indiano. Ma lo scopriremo domani, ora un’abbondante doccia ed il bisogno solo di un bel sonno.
Al risveglio sarà paradiso!
©Roberto Roby Rossi
Visualizzazioni: 1412