Korogocho è la quarta baraccopoli di
Nairobi per grandezza, dopo
Kibera,
Mathare e
Mukuru Kwa Njenga. La densità di popolazione degli slum registra dati che possono apparire incredibili. Le abitazioni,
vere e proprie fatiscenti catapecchie, misurano non più di 3 metri quadrati dove all’interno vivono mediamente 6 persone. Ma
Korogocho, in questa drammatica competizione, detiene il primato, essendo la
zona più densamente abitata ed instabile tra gli slum di Nairobi.
La popolazione presente all'interno di
Korogocho ha subito negli ultimi anni un forte incremento e, sommariamente, oggi vivono al suo interno più di 200mila persone. Situata nel distretto di
Kasarani, nella zona est di
Nairobi,
Korogocho sorge su terreno in parte di proprietà del governo e in parte di proprietà privata. Anche se si tratta di un cosiddetto “
insediamento informale”, la maggior parte dei suoi abitanti, circa l'80% del totale,
paga un affitto per vivere in condizioni disumane dentro baracche prive di tutto.
Lo
slum confina con la discarica di
Dandora, dove confluiscono i rifiuti di tutta l'area urbana di
Nairobi, ma è un confine fittizio, in quanto tutta
Korogocho è in fondo una immensa discarica. Per le strette stradine i rifiuti si accalcano ad ogni angolo, come anche lungo il canale dentro il quale scorre un’acqua nerissima e maleodorante.
Da oltre 10 anni all'interno dello
slum è nato il
Bega kwa Bega, un gruppo di cooperative formato da persone che si dedicano alla produzione di prodotti artigianali di varia natura, alla disperata ricerca di una via di uscita da una situazione assolutamente insostenibile.
Ogni giorno
Korogocho è un campo di battaglia, dove le vittorie e le sconfitte significano vita o morte. Un luogo dove la quotidianità è fatta di strategie per sopravvivere, dove però non si è abbandonata la speranza di un futuro migliore, mortificato tuttavia dall’inesistenza di una politica di supporto e sostegno a questo dimenticato popolo. Siamo in visita a
Korogocho una mattina, con me
Nicolò e
Edmond, il direttore di
Alice Village.
Nuvole nere hanno appena smesso di rovesciare acqua. Bisogna muoversi con cautela, attenti a dove si mettono i piedi, il fondo melmoso è pieno di insidie. Il solito corso d’acqua nero e puzzolente scorre nel mezzo delle strette strade sulle quali si affacciano le lamiere, dentro le quali vive il popolo di
Korogocho. Un cielo grigio piombo incombe, come la pioggia che pare possa ritornare a cadere da un momento all’altro.
Siamo entrati nelle case di
Lillian Atieno e di
Dorcas Anwor (
vedi qui), due giovani donne che hanno già conosciuto le difficoltà della povertà estrema, della miseria più nera. A
Korogocho opera la scuola primaria di
Grapes Yard, diretta da
Edmond Opondo. Siamo entrati anche qui, abbiamo conosciuto i bambini della scuola, ne abbiamo apprezzato la loro cura e l’ordine. Abbiamo giocato con loro, abbiamo seguito le lezioni, abbiamo constatato l’interesse e l’attenzione che questi bambini prestavano alla brava insegnante.
Parliamo con lei e concordiamo che si, tutto parte da lì, dalla scuola, dai bambini, dall’istruzione. Per cambiare, per dire no a condizioni di vita inaccettabile, per dare dignità a tutti, perché tutti possano avere le stesse opportunità, per uscire da
Korogocho, da questi
slum, da questi luoghi di pena. E’ la speranza di tutte le persone con le quali abbiamo parlato.
Ma qualcosa, qualcuno, pare desideri che questo stato di cose non cambi. Qualcuno che siede nelle stanze del potere, in
Africa, in
Europa, in
America, nel mondo. Quei pochi qualcuno che si incontrano in grandi belle città, si riuniscono in grandi lussuosi alberghi, vestiti di eleganti costosi abiti. Quei pochi qualcuno che però dicono di lavorare per una giustizia, per l’uguaglianza, per le pari opportunità. Che parlano di strategie per sconfiggere la povertà.
Che raccontano bugie. Che portano avanti una farsa, che recitano una parte.
Quei pochi qualcuno che hanno l’interesse che tutto rimanga così. Quei pochi qualcuno che vogliono
Korogocho,
Kibera,
Mathare, tutti gli
slum e tutta la miseria del mondo.
Che vivono la loro ricchezza sulla pelle di
Lillian Atieno, di
Dorcas Anwor e delle centinaia di milioni di persone come loro, che vivono ogni giorno gli stenti della fame.
E che ogni giorno muoiono, come quell’uomo trasportato dentro una coperta, che ha sfilato vicino a noi, questa mattina, qui a
Korogocho. Forse aveva l’Aids, forse una banale infezione.
E’ morto, aveva poco più di trent’anni.
©Roberto Roby Rossi