Siamo qui, oggi. Tra le lamiere contorte dove vivono un milione e mezzo di persone. L’età media di chi vive questo inferno non supera i trent’anni. Centinaia di migliaia di bambini, di mamme. Molto meno sono gli uomini, tanti se ne sono andati.
Morti. Perché da qui non si scappa. Quando si entra qui dentro, qui dentro si muore. Non c’è via d’uscita. Si arriva con speranze di vita migliore. Si esce delusi, sopraffatti, sfiniti. Morti.
Abbiamo conosciuto
John allo
Shalom House, nel corso di una veloce visita, perchè
padre Kizito, l'anima di questo centro, è molto impegnato in questi giorni. Qualche minuto con lui, lunga barba bianca, un viso sereno e sincero, rassicurante, come deve essere per questi bambini. Da qui andremo, con
John, un ragazzo di 23 anni, con un passato difficile, segnato dalla fame e dalla povertà, alla scoperta del povero mondo dei
children street, i
ragazzi di strada. Lui segue un progetto, qui alla
Paolo's House, per il recupero di questi bambini che si ritrovano, già a 7 anni, per le vie di
Nairobi, soli. A sniffare colla oppure benzina. Ed altri veleni, intrisi in uno straccio che continuano, con ossessione, a portarsi al naso.
Sono 20, bambini e ragazzi dai 7 ai 15 anni, che vivono qui, a
Kibera, nella
Paolo’s House, una struttura costruita da un italiano e messa a disposizione per questo progetto, al quale
John dedica tutta la sua giornata. E anche le nottate. Si, perché lui vive qui dentro, con i ragazzi.
La casa ospita 3 stanze con letti a castello, oltre ad una piccola sala con Tv e stereo, sempre in funzione. Qui la musica accompagna i momenti di tempo libero di questi bambini, che ballano, che cantano, che si divertono, che stanno insieme, che conoscono così un altro modo di vivere, un altro stile. Stiamo con loro qualche ora, giochiamo con loro che continuano a chiederci “
ni pige picha”
fammi una foto. Fai lo scatto, corrono lì per guardarsi sullo schermo e parte una sonora risata collettiva.
Sono solo bambini e ragazzi, malcapitati, sfortunati. Hanno voglia anche loro di normalità, di giocare, di divertirsi, loro come tutti i bambini e ragazzi al mondo. Desiderano cose normali, semplici, dovute. Quello che non hanno mai avuto.
Parliamo con
James, un bambino di 7 anni. Un po’ in disparte, ci parla della sua breve vita, di quegli anni passati tra botte e solitudine. Se ne va di casa a 6 anni. Diventa un
children street, un bambino che ora cerca solo colla da sniffare.
Che rovista dentro la spazzatura per trovare qualcosa da mangiare. Che addosso porta sporchi cenci strappati, che non sono sufficienti per proteggerlo dal freddo della notte, trascorsa tra i vagoni dei treni, disteso sui marciapiedi di una grigia città, sulle panchine di qualche raro spoglio parco.
Tra la sporcizia, nel freddo, con la fame, a trascinarsi, barcollando. A soli 6 anni.
Ora è lì, con
John, e con altri compagni ai quali è stata data un’opportunità. Sarà difficile, molto difficile. Hanno paura, non si fidano. Portano con sé storie laceranti, che avrebbero piegato chiunque. E loro sono solo bambini, ragazzi. Non si riesce ad immaginare
James nelle condizioni di solo qualche mese prima. E’ piccolo, con uno sguardo dolce, a volte incontra i miei occhi, gli sorrido, mi sorride. Poi subito abbassa lo sguardo.
Sono frastornati, nella testa tanta confusione, poca fiducia e tanta paura. Che vincono scappando, senza sapere dove, ma altrove, lontano. Da chi li ha picchiati, da chi ha abusato di loro, da chi non ha avuto nessuna cura per loro.
Andiamo con
John a
Kibera (
vedi qui) tra le baracche dello slum più grande del Kenya e secondo la mondo.
Da dove vengono questi
children street. Da dove fuggono questi piccoli bambini.
©Roberto Roby Rossi